10 Novembre 2021
10 Novembre 2021
Da ieri 28 dicembre è ufficialmente in tutte le sale “Come un gatto in tangenziale”, un film di Riccardo Milani con la coppia già collaudata formata da Antonio Albanese e Paola Cortellesi. Io e la mia famiglia lo abbiamo visto in anteprima, di seguito potete leggere trama, innumerevoli riflessioni (scusate mi sono un po’ dilungato) e qualche consiglio!
Antonio Albanese e Paola Cortellesi sono Giovanni e Monica, due persone completamente agli antipodi sia per estrazione sociale, sia per il modo di vivere.
Lui è un intellettuale impegnato che mette al centro del suo lavoro la lotta per l’integrazione sociale, che vive in un grande appartamento ai Parioli assieme alla figlia adolescente e alla colf ucraina che lo tratta come una pezza da piede. Ha una ex moglie che vive in Provenza a coltivare lavanda e che oramai considera l’Italia come un paese straniero.
Lei è la ex cassiera di un supermercato, che ha perso il lavoro a causa delle casse automatiche. Dall’aspetto un po’ appariscente, contraddistinto da capelli rosso fuoco, magliette “abbaglianti” a causa del glitter e scarpe con le zeppe. Vive in un appartamento fatiscente a Bastogi con le sorelle Pamela e Suellen cleptomani dedite alla “shopping convulso” e ha un compagno parrucchiere che entra ed esce da Rebibbia.(interpretato da un biondissimo Claudio Amendola).
Cosa accomuna due persone tanto diverse vi starete chiedendo?
Ebbene, è presto detto, i due si conoscono quando tra i loro figli Agnese ed Alessio nasce una storia d’amore ed è qui che accade l’impensabile: i due genitori pur essendo completamente diversi, sono subito concordi su una cosa: i due ragazzi devono lasciarsi!
Uniti in questa “missione” , tra litigi e pedinamenti improbabili, i due cominciano a conoscersi e si rendono di avere più cose in comune di quante non ne abbiano i loro figli.
Come un gatto in tangenziale è un film riflessivo ma non noioso, divertente ma non superficiale. Oramai ci siamo abituando a questi film in cui sembra sia diventato quasi obbligatorio dover essere volgari per strappare una risata al pubblico, ma ovviamente e fortunatamente non è questo il caso.
Riflessivo perché è inevitabile non farsi delle domande dopo aver visto questo film.
Io sono cresciuto in periferia a Napoli, in una zona degradata ma non troppo, insomma non ai livelli di Scampia o Secondigliano, le location della serie Gomorra che tutti conoscete oramai.
Ricchi non lo siamo mai stati, ma nemmeno poveri, anzi fino a quando era vivo il mio papà, vivevamo più che bene.
Dalla sua scomparsa in poi, mia mamma ha sempre dovuto fare lavori umili per poterci mantenere ma non ha avuto mai problemi da gestire con me, ero un adolescente tranquillo, che si confidava con lei e le diceva tutto.
Non ho mai chiesto la carta d’identità ai miei amici, i miei migliori amici del liceo erano tutti di Secondigliano e mi piaceva tantissimo viverli quotidianamente e passare del tempo con le loro famiglie numerosissime, tra fratelli, zie, cugini, ecc ecc che mi facevano sempre sentire come a casa.
E dopo 20 anni posso dire di non essere cambiato, probabilmente un po’ per l’educazione che mi ha dato mia madre, un po’ per il fatto che non sono mai stato ricchissimo, non ho mai fatto alcuna distinzione di ceto sociale con le persone da frequentare. Eppure questo film mi ha messo qualche dubbio!
Enrico frequenta il secondo anno d’asilo dove ci sono bimbi di tutte le etnie. Il suo migliore amico ad esempio è rumeno e non fa altro che parlare di lui tutto il giorno
Non ho alcun pregiudizio verso alcun tipo di etnia, religione o ceto sociale, ma guardando questo film mi sono chiesto “Come reagirei se un giorno Enrico da adolescente, mi portasse a casa una fidanzatina, indipendentemente dall’etnia o dalla religione, che abbia un modo differente di comunicare, di muoversi, di parlare, di vivere?”
Beh la risposta per il momento non posso darla, probabilmente ci vorrebbe una sfera magica . Spesso sono una persona un po’ pedante, a cui da fastidio da fastidio se suo figlio usa termini come “di colore”, “cinese”, “arabo” se riferiti a bambini. Perché? Perché le persone sono persone e basta!
Ma forse sono solo un ipocrita che è bravo a scrivere ciò che è più giusto scrivere e probabilmente nella medesima situazione di Giovanni, mi comporterei esattamente come lui….. chissà! Lo scopriremo solo vivendo!
Andare al cinema con i figli non è sempre un’impresa facile. Quando sono piccoli c’è il rischio che si possano annoiare e cominciare a vagare tra una poltrona e l’altra per la felicità degli altri spettatori ma soprattutto per la vostra, che dovrete continuamente alzarvi per andare a recuperarli.
Quando invece cominciano a crescere già pronunciare le parole “Ti va di andare” comincia subito a fargli venire l’orticaria, seguita da sbadigli, sbuffi o tipici epiteti adolescenziale del tipo “Che pallee!”.
Ma credetemi quando vi dico che per “Un gatto in tangenziale” ne vale davvero la pena! I figli piccoli moriranno dal ridere, i figli adolescenti si rispecchieranno sicuramente nei due giovani protagonisti.
Un film per tutta la famiglia che faccia ridere e riflettere allo stesso tempo e davvero una rarità, qualcosa di imperdibile.
Chi mi conosce sa che non sono la persona più profonda del mondo, eppure avete visto quante emozioni mi ha tirato fuori questo film?
Io penso che il fulcro si questo film possa essere racchiuso in una frase che Agnese dice al papà, ovvero:
Papà ma se mi hai insegnato tu che bisogna accettare tutti perché tutti sono uguali? Erano tutte bugie?
Secondo voi questa storia d’amore tra questi novelli Romeo e Giulietta avrà un lieto fine o farà la fine di un gatto in tangenziale?
Si, di un gatto in tangenziale! Non capite la metafora?
Vabbé me so capito io!
Voi però andate al cinema!